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Il signor Wilson era il dottore del piccolo paesino di Celson, nell’ Inghilterra occidentale, molto stimato dai suoi compaesani, oltre che per la sua bravura nel risolvere casi di salute estrema, anche per la sua infinita dolcezza e gentilezza. Era vedovo ormai da tre anni, senza figli e viveva in una bellissima villetta circondata da tanto verde, piante secolari e quattro bellissimi bulldog. A fargli compagnia, l’ausiliare domestica Mrs Butterfly e il giardiniere Nicholas Castro, che amava come se fossero veri parenti e la stima era reciproca. Purtroppo però giorno 22 del mese di Gennaio alle ore 10,30, in una mattinata gelida e piovosa, il telefono del detective Spencer squillò e una voce tremante e disperata annunciò la morte del dottore trovato assassinato nel suo ambulatorio. Ma chi poteva assassinare un uomo così buono e giusto? Un uomo che aveva dedicato la sua vita ad aiutare il prossimo? Il detective Spencer voleva vederci chiaro e così si catapultò subito all’ambulatorio del dottor Wilson. La scena era davvero raccapricciante. Chi poteva odiare così tanto quest’uomo da ridurlo in quello stato? Così dopo aver chiamato la squadra anticrimine per rilevarne tutti i dati: impronte digitali, nastro di plastica per delimitare la scena del delitto, sacchetti di plastica per catalogare gli indizi e polvere per rilevare le impronte digitali, la C.E.A.,  squadra anticrimine, rilevò che le impronte delle orme arrivavano diritte al “Ritrovo Garden”, un ristorante bar aperto da poco da una famiglia italiana, i signori Mengoni. Allora il detective andò a far visita  alla famiglia e cominciò a porre delle domande. I Mengoni conoscevano molto bene il dottor Wilson, in quanto era un loro affezionato cliente, amante della cucina italiana e del buon vino e con lui spesso scherzavano e parlavano della bella Italia e del suo patrimonio artistico e culturale. I Mengoni però da un po’ di tempo vedevano aggirarsi nei dintorni un forestiero, basso di statura, robusto e calvo, molto cupo e rigido in viso, che stava sulle sue e un paio di volte lo videro uscire dall’ambulatorio un po’ agitato. Il detective indagò a lungo e scoprì che la persona in questione era anch’egli dottore, ma ormai da tempo non più praticante, aveva all’incirca 50 anni e viveva con la madre anziana malata di Parkinson, svolgeva una vita solitaria ed era cupo e introverso. Così si recò a casa sua e cominciò a fargli delle domande, chiese se conosceva il signor Wilson e lui rispose che avevano fatto sia l’università che il dottorato insieme. Spencer, inoltre, chiese in che rapporti fossero e lui rispose che ormai non si frequentavano da tempo e che ultimamente si erano visti solo per la malattia della madre. Berdford John, così si chiamava la persona in questione, chiese che cosa fosse successo e il detective disse che il dottore era stato assassinato e stavano indagando sull’omicidio. Spencer buttò subito gli occhi su di un buffo portachiavi, una simpatica scimmietta a cui mancava la coda, ma poi distolse lo sguardo dal buffo oggetto e si congedò. La dottoressa Flemmegton, che seguiva il caso con la squadra anticrimine, chiamò il detective al quale riferì che la morte del dottore era stata causata da un corpo simile ad un martello e che l’uomo che aveva commesso l’omicidio doveva essere mancino, non solo, ma aveva trovato su una ferita del cadavere una specie di coda piccola e in ceramica. A questo punto il detective si ricordò del portachiavi di Berdford John alla cui scimmietta mancava la coda e che, mentre lui era a casa sua, aveva suonato alla porta il fattorino e Berdford John aveva firmato con la mano sinistra. Allora Spencer capì tutto e andò a prelevarlo.

LE NOSTRE PUBBLICAZIONI

DELITTO SULLE PUNTE

Era un giovedì come tanti e verso le 17:30 mi avviai verso la scuola di danza. Frequento la scuola solo da qualche mese ma mi diverto tantissimo e sono anche abbastanza brava. Quel giorno dovevamo provare lo spettacolo di fine anno, sistemare gli ultimi preparativi e provare i costumi di scena.

- Sono arrivati gli abiti!

Disse Valeria, la nostra istruttrice.

- Giovanna Aliberti!

Chiamò. Giovanna prese il vestito e andò negli spogliatoi. Stessa cosa per Alice, Sofia, Asia, Milena...

- Carola Rossi!

La ragazza andò nello spogliatoio. Carola è la mia migliore amica, ci siamo iscritte insieme a danza ma lei è molto più brava di me.

Arrivammo alla fine dell'appello.

  • Giulia Tagliavia!

Giulia fece un sorrisetto e corse via.

Lei è la ragazza più vanitosa di tutta la scuola di danza, infatti, non siamo mai diventate amiche. Quel giorno aveva raccolto i capelli in un grande chignon e attorno aveva messo due fermagli con dei fiori e, al suo solito, era truccata.

- Zoe Valentini!

Chiamò Valeria. Io corsi felice dall'insegnante.

- Ecco il tuo abito, ora corri a cambiarti, su, su!

Disse scherzando.

Fui l'ultima ad entrare nello spogliatoio, sono sempre l'ultima dell'appello.

Le mie compagne avevano già indossato il vestito, mancavamo io, Carola e Giulia. Mentre le altre andavano da Valeria, noi tre rimanemmo nello spogliatoio.

- Il vestito mi sta d'incanto! Se solo fosse un po' più largo!

Esclamò Giulia.

- Sapete mi hanno detto che sarò la protagonista dello spettacolo e che ballerò una danza molto impegnativa, d'altronde cosa ci si poteva aspettare da una brava come me!

Giulia uscì ridacchiando.

Io provai il mio vestito, mi calzava a pennello, quello di Carola invece era più grande di una misura.

Arrivammo nella sala da ballo e Carola si avvicinò a Valeria per  raccontarle l'accaduto.

- Ah vero!

Disse Valeria, ricordandosi qualcosa.

- Ragazze venire tutte qua!

Ci avvicinammo alla nostra istruttrice.

  • C'è stato un cambio di programma, la protagonista sarà Carola e non più Giulia!

Io sogghignavo dentro di me, bisognava vedere la sua faccia quando  sentì quello che l’istruttrice ci aveva appena comunicato, se n’ era tanto vantata, poverina!!!!. Corsi da Carola e l'abbracciai facendole le congratulazioni. Giulia dovette cedere il suo splendido abito celeste a Carola che, a sua volta, diede il vestito giallo, che avevamo tutte, a Giulia.

Carola era così felice.

- Oggi lavoriamo coi cerchi!

Disse Valeria quando tutte ci mettemmo in fila.

- Giulia cos'è quella faccia? Dai accompagna Carola a prendere i cerchi.

Giulia ci pensò e poi annuí.

  • E voi...Dieci minuti di corsa per riscaldarvi, io vado un secondo in bagno.

Carola e Giulia non erano ancora tornate.

Un tonfo e poi un urlo. Intanto tornarono Sofia e Asia che si erano allontanate. Cosa stava succedendo?

Poco dopo, Giulia corse verso di noi gridando di avere visto Carola stesa per terra, probabilmente morta.

Tutte corremmo verso la stanza.

- Fatevi da parte!

Gridò Valeria. 

- Ci penso io.

- Per favore Zoe chiama la polizia!

Mi affrettai a chiamare la polizia col telefono di Valeria. Gli investigatori arrivarono in un batter d'occhio. Esaminarono la scena del delitto, Carola era stata colpita con un oggetto. Le domande che più mi risuonavano nella testa erano: chi poteva essere stato? E soprattutto che cosa era stato utilizzato? In un primo momento si pensò ad un incidente, per sbaglio qualcosa era caduto su Carola. Ma si sarebbe trovato qualcosa per terra, invece niente. Non restava che seguire la pista dell’omicidio. L'assassino aveva nascosto l'arma del delitto. Giulia, a quanto sembrava, era andata nell'altra stanza per prendere i cerchi più grandi mentre Carola prendeva i più piccoli, o almeno così diceva lei. Non era però l'unica sospettata, c'erano anche Sofia e Asia che erano andate una in bagno e l'altra a bere. Avevano i capelli legati in una lunga coda e addosso i vestiti di scena. Cercavo di trovare più informazioni possibili, mi avvicinai più volte al luogo dove era morta la mia cara amica, dovevo trovare l'assassino per lei.

  • Andate a cambiarvi, la lezione è sospesa!

Tutte si recarono negli spogliatoi io rimasi a cercare ancora indizi.

Ero sconfitta, volevo aiutare a scoprire il caso della mia amica di cui piangevo la misteriosa morte. Andai negli spogliatoi, vi era rimasta solo Alice. Trovai a terra frammenti di uno dei pesi in legno che utilizziamo per allenarci. È utile, ma pericoloso se usato nel modo sbagliato. Lo consegnai alla polizia, i pezzi rimasti erano sporchi di sangue, era di sicuro l'arma del delitto. Il colpevole aveva dovuto nasconderli nel suo zaino per non farsi scovare, ma alcuni pezzi gli erano caduti.

- Vieni Zoe!

Gridò Alice.

- Hanno trovato questo tra i pesi, l'assassino deve averlo perso mentre ne prendeva uno.

Era un fermaglio con dei fiori.

- Io so a chi appartiene.

Dissi.

Ragionai e ragionai sul movente e ci arrivai. L'ispettore Durston, come me, aveva capito chi era l'assassino. La colpevole allora, venne denunciata per omicidio colposo e condannata a finire i suoi giorni in carcere.

Era un sereno pomeriggio di primavera e, come sempre a quell’ora, alla scuola di pianoforte del quartiere, la signorina Jennifer Carter aveva appena finito di fare lezione e percorreva il corridoio diretta verso l’uscita. La donna era un tipo molto sicuro di sé, ma allo stesso tempo aveva la caratteristica di essere particolarmente affettuosa e dolce. I suoi furbi occhi verdi analizzavano attentamente ogni persona che le stava accanto e la sua chioma era composta da lunghi capelli biondi che sembravano tanti fili d’oro. Svolgeva un ottimo ruolo di insegnante esigente e premurosa. Un giorno la sorella Sarah, dopo esser tornata da un viaggio, decise di andare a trovare la sua amata Jennifer. Ansiosa di rivederla, salì le scale eccitata ma appena arrivò, stranamente, la porta era aperta. La ragazza entrò, la cercò per tutto l’appartamento e, giunta nella sua stanza, osservò attentamente.  Un tuffo al cuore. Ai piedi del pianoforte giaceva immobile il corpo senza vita della signorina Carter immerso in una pozza di sangue. Sarah, disperata e sconvolta, si affrettò a chiamare la polizia e, singhiozzando, prese il telefono con mani tremanti: -“ Pronto? “Qui il 113!  - Che cosa è successo? ” La sorella raccontò l’accaduto. Il giorno dopo iniziarono le indagini e il caso fu assegnato all’ispettore Maclean il quale si accorse che non era per niente semplice. Un lungo capello nero lasciava presupporre che ad uccidere la povera insegnante non fosse stato un uomo ma una donna. Già l’ispettore aveva un indizio da cui partire. La sua migliore amica, interrogata, sosteneva che quel giorno a quell’ora aveva preso i suoi figli da scuola, ciò fu confermato dalla maestra. Gli alibi di tutte le persone interrogate furono accertati. Ora non restava altro che interrogare gli abitanti del piccolo condominio dove abitava Jennifer. Nessuno si trovava nel condominio in quel momento tranne la signora Tennyson che, ormai anziana, non usciva spesso di casa ed essendo troppo sorda non aveva potuto sentire nulla. Scendendo le scale l’ispettore Maclean vide la signora Clementine dell’interno 10 strofinare con insistenza il lucido parquet della sua casa. L’investigatore piuttosto sospettoso chiese il perché di tanta tenacia e la donna rispose irritata: - Non vede? Il pavimento è pieno di polvere, mi fa venire l’allergia! Mentre la signora si abbassava per continuare a pulire, dalla larga tasca della giacca verde scivolò il biglietto della lavanderia del giorno precedente. L’ispettore Maclean fece in tempo a raccogliere il bigliettino da terra prima che la signora se ne accorgesse. La stessa aveva affermato di essere stata in casa tutto il giorno ma il biglietto la smentiva. L’ispettore, molto insospettito, si recò alla lavanderia per chiedere informazioni. Il proprietario disse che la signora aveva portato il capo a pulire per via di una macchia di inchiostro ma dato che aveva una certa esperienza nel campo, riteneva che quello non fosse inchiostro ma sangue. L’investigatore convocò Clementine, per essere interrogata, al commissariato. Maclean mise talmente sotto pressione la sospettata che alla infine confessò:- ” .…mi tormentava la musica che sempre Jennifer suonava al pianoforte. Da piccola la mia matrigna mi metteva in punizione nel sottoscala e, per non sentire i miei lamenti, metteva musica classica con il volume alto. Sono stata anni in quel maledetto posto (Clementine si riferiva all’ospedale psichiatrico dove aveva vissuto per anni) e lei con la sua musica ogni notte mi faceva rivivere quell’incubo”.                                                                                             

SUSHI ASSASSINO

TERESA CATALOSKY

NOTE MISTERIOSE

L' ODIO NASCOSTO

Dalla PREFAZIONE

Era un martedì gelido e nebbioso e faceva un freddo pungente, le foglie degli alberi sembravano cristalli e il lago assomigliava ad uno specchio che rifletteva il cielo cupo e grigio. Poco distante dal laghetto, in contrasto con il grigiore tipico dell’inverno, si ergeva il tendone multicolore di un circo, con le rispettive roulottes degli acrobati e i tendoni degli animali che si intravedevano mentre erano attenti a consumare il loro pasto e più in là si intravedeva qualche curioso, con qualche bimbo mentre guardava tra i tendoni degli animali selvaggi. Il circo era molto conosciuto nella Nazione, il “Circo dei pagliacci” per la bravura dei suoi artisti e per le prove di alcuni suoi acrobati davvero mozzafiato. Il venerdì del 18 gennaio scorso avvenne un fatto strano: al più vicino commissariato di polizia venne denunciata la scomparsa di una giovane acrobata, Teresa Cataloski, una bellissima ventenne che lavorava come attrazione all’interno del circo da più di cinque anni. A denunciare la scomparsa era stato proprio il fidanzato Fedez Ravinsky, un uomo sui 45 anni originario della Polonia che aveva il ruolo del pagliaccio acrobata all’interno del circo. Il caso venne affidato al commissario Monicelli che da subito iniziò ad indagare. Innanzitutto chiamò il fidanzato per avere ulteriori dettagli. Il ragazzo raccontò che con Teresa si frequentavano ormai da tre anni e il loro era un rapporto bellissimo. Da alcuni mesi però all’interno della loro comitiva di artisti si era aggiunta una nuova ragazza Margaret Boscy, una trapezista della quale la fidanzata era molto gelosa e spesso e volentieri litigavano perché il ragazzo prestava più attenzione a costei. I due mettevano poi da parte ogni incomprensione e si riappacificavano. Chiese quando l’aveva vista l’ultima volta e lui rispose:- la mattina prima della scomparsa. Allora il commissario Monicelli chiese all’uomo come mai fosse tanto agitato visto che ancora non erano trascorse 24 ore e il giovane rispose che la giovane, ogni volta che si recavano in posti nuovi, non era solita uscire senza la sua compagnia. Il commissario congedò il giovane artista e alle 16.00 del pomeriggio si recò al circo per svolgere ulteriori indagini. Tutti parlavano ma in realtà non dicevano nulla come se volessero nascondere qualcosa, tranne Teolinda, una giovane che interpretava il ruolo di pagliaccio e si esibiva con dei simpatici scimpanzè. La ragazza disse che Teresa era molto triste e che da un po’ di tempo era sua volontà abbandonare la sua vita da circense e allontanarsi dal quel mondo. Altri invece raccontavano di vederla sempre piangere e il ragazzo schernirla. Ma un particolare attirò la sua attenzione: il giovane fidanzato aveva detto di averla vista l’ultima volta la mattina prima della scomparsa e allora:- perché i ragazzi del circo dicevano che li avevano visti litigare la sera prima? Che cosa o chi stava nascondendo Ravinsky? Perché aveva mentito? Così Monicelli sequestrò i telefonini sia del Ravinsky che della giovane trapezista, la giovane Margaret Boscy. Dai tabulati telefonici risultò che la giovane trapezista voleva intraprendere una relazione con il Ravinsky ma lui si opponeva in quanto innamorato della giovane e bella Teresa nonché la sua fidanzata, così i due si erano visti in un luogo segreto e il giovane aveva supplicato  Margaret di lasciarlo in pace perché così facendo avrebbe compromesso la sua relazione. A quanto pare la donna non mollava e così, sempre dai tabulati, risultò che Margaret avrebbe dato appuntamento a Teresa in un luogo imprecisato, e poi, che cosa è successo? Perchè Teresa non era più ritornata? Il commissario Monicelli chiamò la ragazza per interrogarla al commissariato  chiedendole perché continuava a voler avere a tutti i costi una relazione con il Ravinsky, se lui non approvava e perché la sera prima chiamò Teresa per darle

appuntamento. La ragazza rispose che lei non sapeva nulla, che era vero che lei si era innamorata del Ravinsky, ma che non avrebbe mai e poi mai fatto qualcosa per sottrarlo all’amica contro il suo volere e che,  anche se tutto sembrava inveire contro di lei, non era coinvolta nella scomparsa della giovane. Il commissario la congedò e le vietò di allontanarsi dal circo perché in qualsiasi momento avrebbe dovuto essere reperibile. Così, una sera si avvicinò al circo e vide una cosa strana, la collanina che apparteneva alla giovane Teresa con la sua foto che cascò fuori dalla tasca di un pagliaccio, un certo Tommy Calligan. Che cosa ci faceva quest’individuo con la collanina di Teresa? Perché ce l’aveva proprio lui?

Che rapporti c’erano fra lui e la giovane acrobata? Il commissario si avvicinò all’uomo e lui rispose:

“Spesso non è ciò che vuol sembrare”. 

Giorno 12 febbraio alle 17:00  arrivò alla caserma della polizia la comunicazione di un avvenuto omicidio presso un grande supermercato al centro della città. l poliziotti, saliti sulle loro auto,  si precipitarono. Giunti sul posto  scoprirono che nella cella frigorifera del supermercato vi era il cadavere di una donna. La polizia arrivò sul luogo del delitto e ordinò che fosse fatta l'autopsia del corpo ma mentre trasportavano il corpo fuori, uno degli uomini della scientifica andò a sbattere contro dei ripiani dai quali  caddero diversi tipi di cibo ma soprattutto caddero due enormi pezzi di ghiaccio che contenevano un uomo e un bambino. Scongelati i corpi, fu fatta l'autopsia e si scoprì che erano morti per congelamento e al riconoscimento si seppe che i corpi  appartenevano alla signora De Pasquale, al marito e al figlio Maurizio di 6 anni. Dalle prime indagini si venne a scoprire che i signori De Pasquale erano assidui clienti del supermercato e che frequentavano spesso  i locali del centro. Venne poi trovata, stretta in una mano, una di quelle spille, con il nome del supermercato, che indossano i dipendenti. La polizia capì che era stato un dipendente del supermercato e che la signora, nel tentativo di difendersi, gli aveva strappato la spilla. Tornati sul luogo del delitto, chiesero al direttore di mostrargli l'elenco di tutti i dipendenti. Erano più di 50, però eliminando quelli che avevano la giornata libera, quelli che erano in malattia, quelli che non avevano dimestichezza con le celle frigorifere, rimasero soltanto pochi sospettati ma solo due conoscevano le vittime, per cui si pensò di incominciare proprio da loro. Entrambi infatti avevano, per motivi diversi, avuto un’ animata discussione con i signori De Pasquale. La prima  indiziata era la signora Munafò la quale, l'anno precedente, aveva aperto il “Sushi Bar” che però chiuse solo un mese dopo per colpa dei coniugi  De Pasquale che l'avevano denunciata dopo aver trovato una blatta in una pietanza. Al signor Bianchi, invece, due anni prima fu fatta causa dalla vittima perché aveva quasi investito il piccolo Maurizio. Il capo della polizia, pur avendo il sospetto che fosse uno dei due il colpevole, non riuscì a capire chi fosse e si recò, quindi, nuovamente, nella cella frigorifero. Qui  incominciò a scattare delle foto col suo cellulare ma mentre rimetteva il telefono in tasca gli scivolò e cadde a terra. Allora si abbassò per prenderlo e, in un angolo, notò un piccolo portachiavi a forma di sushi. Il capo dei poliziotti esclamò soddisfatto fra sè:-  il caso è risolto!

...Ecco all’ opera una schiera di piccoli Sherlock Holmes, autori di una serie di gialli dalle situazioni intricate dagli sviluppi sorprendenti e dalle conclusioni insospettate. Le storie create dai bambini evidenziano il gusto per la rappresentazione di casi complicati, la descrizione attenta di personaggi, sentimenti e stati d’animo, la cura dei particolari, rilevatori di segnali importanti per la soluzione finale con sapiente alternanza di discorso diretto e indiretto, di parte narrativa e dialogativa. I racconti fluiscono in modo chiaro e scorrevole e attraggono la curiosità e l’interesse sempre crescenti del lettore. Dopo le indicazioni iniziali relative sia ai luoghi attinenti alla scena del crimine che a figure di primo piano nel contesto dell’intreccio poliziesco, subentra il vero protagonista della vicenda, l’investigatore-ispettore nella persona ovviamente dell’autore del testo che, di fatto, da narratore si trasforma in primo attore. Egli avvia le indagini con serietà professionale e acume, incalzando con le sue domande e costringendo alla confessione il responsabile, ormai senza scampo né difesa. Talvolta nell’epilogo sembra trapelare un accenno di commiserazione per le ragioni che hanno determinato l’azione delittuosa, ma ciò non può mai e poi mai intralciare il cammino della legge e il trionfo della verità e della giustizia. Le scene elaborate dalla fantasia creativa degli alunni presentano gli elementi tradizionali del classico giallo: il fatto criminoso, le indagini investigative, le testimonianze, la falsa pista, la ricerca delle prove, il movente, l’individuazione del colpevole, la sua confessione. I nostri autori non hanno solo visto qualche poliziesco alla TV, ma hanno rubato il mestiere ai veri scrittori di gialli, li hanno emulati e fors’anche superati in ragione della loro tenera età. E’ lodevole l’impegno con cui affrontano il lavoro che si propongono di condurre a compimento, perché non rilevano in alcun momento la fatica ma esaltano la passione nell’approccio al tema, desiderosi di raggiungere traguardi sempre nuovi e gratificanti.

 

 

 

 

                                                                                                                    L’ insegnante                                                                                                                             Lidia Lombardo

I miti e le leggende sono racconti fantastici che narrano le origini, le vicende, la storia di un gruppo sociale. Prima di essere scritti, miti e leggende sono stati raccontati a voce e nel tempo hanno perso una precisa configurazione storica e geografica.

Il racconto mitologico generalmente tenta di dare una spiegazione alle forze che regolano la natura, ai fenomeni e alle leggi della vita: la nascita, la crescita, la morte. Ma la principale caratteristica del mito è costituita dalla presenza nel racconto delle figure divine, che agiscono compiendo azioni eccezionali, al di là dei limiti del tempo e dello spazio. I miti sono quindi racconti di magia, ma essi hanno in sé elementi di verità e di religiosità. Sono storia vera perché aderenti alle tradizioni del gruppo di appartenenza, ma anche sacri poiché in essi vi si riconoscono tutti coloro che partecipano alle stesse emozioni religiose.

Anche le leggende traggono il loro contenuto dalle vicende di una comunità, da eventi che si presumono realmente accaduti, da fatti storici. Ma, a differenza dei miti,  le leggende hanno una collocazione più precisa nel tempo, una maggiore determinazione di luoghi, date e personaggi. Ciò non priva i racconti di elementi incredibili, ma impedisce alla narrazione di circondarsi dell'alone di mistero e di sacra religiosità caratteristico dei racconti mitologici.

Questo tipo di narrazione appartiene a un genere popolare che più degli altri veniva raccontato per le vie e per le piazze. Intorno a uno stesso evento ciascuna regione, ciascun paese ha elaborato la «sua» leggenda inserendo notizie e aggiungendo informazioni diverse. In questi racconti fantastici perciò ognuno può ritrovare qualcosa di magico che lo ricollega alla propria terra.

Questi  testi mitologici e leggendari  sono stati creati dai bambini, alunni della classe IV  sezione A della scuola primaria del plesso scolastico di S.Antonino, I.C. Foscolo, Barcellona P. G. Messina.

In essi si evidenziano grande capacità inventiva, fantasia fervida, conoscenza delle divinità e soprattutto della struttura tipica di questa tipologia testuale.

“Miti e Leggende” è un libro suddiviso in due sezioni: la prima tratta avventure di personaggi mitologici impegnati in azioni straordinarie e attraverso queste spiega le origini di elementi del Creato quali la luna, le stelle, la pioggia, i fulmini, il sole, le montagne; la seconda, attraverso le leggende e gli elementi magici in esse presenti, narra vicende fantastiche inerenti alle caratteristiche singolari di specifici animali. I lettori saranno attratti dalle storie avvincenti popolate da straordinari personaggi che si snodano tra vicende straordinarie e divertenti allo stesso tempo viste con l’occhio ingenuo dei bambini che, attraverso la loro grande creatività, cercano di divertire. Le immagini accattivanti e ben colorate sembrano animarsi e sicuramente il lettore ne sarà attratto.

 

        

                                                                                                                                                                                                              Lidia Lombardo

Prefazione

In origine il grande Zeus regnava sull’Olimpo. Il fabbro Efesto suo grande amico stanco di vederlo sempre arrabbiato chiese una spiegazione a Zeus che gli confidò di essere stato offeso dagli umani che si sentivano più potenti di lui. Efesto costruì delle lance spezzate e seghettate e le portò a Zeus che non le accettò. Efesto ne tirò una in aria e questa prese magicamente fuoco facendo spaventare tutti gli uomini per il gran rumore che fece scomparendo.

Zeus era ammaliato dal grande potere delle lance ma Efesto quando Zeus chiese di donargliele non gliele diede Zeus, però aveva capito che quelle potevano essere delle armi da scagliare contro gli uomini quando essi lo facevano arrabbiare, così chiamò in suo aiuto il Dio della pioggia e il Dio del tuono. Questi, anch’essi ammaliati dall’immenso potere delle lance pensarono di imbrogliare Zeus e tenerli tutte per loro. Quindi chiesero a Efesto le lance ma lui preferì buttarle giù dall’Olimpo e l’astuto Zeus che aveva osservato tutto da lontano le raccolse. Da quel giorno ogni volta che Zeus è arrabbiato scaglia le lance contro gli uomini e il Dio della pioggia e del tuono li inseguono per cercare di prenderle scatenando una tempesta.

Come nacquero i fulmini

In principio, Poseidone, non avendo ancora scoperto la sua dote speciale, si divertiva a fare dispetti agli altri dei: nascondeva le frecce a cupido, rubava i sandali a Hermes, distruggeva i raccolti a Demetra… Zeus, non avendo altra scelta, lo rinchiuse negli inferi. Poseidone, disperato, incominciò a piangere, pianse, pianse e pianse e la porta degli inferi si aprì facendo fuoriuscire l’acqua che inondò maggior parte della terra. Gli uomini si spaventarono, pensavano che le acque li travolgessero, ma, appena Poseidone cessò il suo pianto, le acque si fermarono. Vulcano, costruì un tridente e lo regalò a Poseidone e con quello poté fare tutto ciò che voleva: calmare le acque, scatenare tempeste… Poseidone riempì le acque di animali come delfini e tantissimi pesciolini di colori diversi e di varie dimensioni con cui fece subito amicizia. Appena Poseidone appoggiò il tridente a terra, il suolo diventò morbido e pieno di tanti sassolini, Poseidone lo chiamò sabbia. Da quel giorno la sabbia si trova in ogni luogo dove ci sono quelle distese d’acqua che Poseidone chiamò mare. Lì decise di vivere, insieme agli animali marini e non fece più dispetti agli altri dei perché aveva scoperto la sua dote speciale: era il dio del Mare.  

Come nacque il mare

Quando gli dei popolavano l’Olimpo le notti erano buie e nere perché non esisteva la luna. Zeus, dopo aver creato il sole, lo affidò ad Apollo, suo figlio, il quale ogni giorno avrebbe dovuto portarlo in giro sul suo carro facendo attenzione ad alimentarlo sempre in modo che non si spegnesse perché era di vitale importanza per tutti gli esseri viventi. Un giorno Zeus portò da Apollo una giovane donna di nome Selene e gli disse che era sua sorella e che sarebbero stati sempre insieme sul carro del sole. In realtà Selene voleva impadronirsi del sole, liberandosi di Apollo e diventandone la dea. Quindi incominciò ad elaborare un piano. Ad ogni viaggio imparava qualcosa e pian piano scoprì tutte le tecniche per alimentare il fuoco del sole. Un giorno pensò che era il momento di sbarazzarsi di Apollo. Durante uno dei suoi giri cercò di spingerlo giù dal carro ma questi riuscì a non cadere, salvandosi. Tra i due nacque una furibonda lite che durò parecchio tempo, tanto che il sole incominciò a spegnersi. Le piante incominciarono ad appassire, i fiumi si gelarono, gli animali sia ammalarono e gli uomini incominciarono a soffrire la fame e la sete. Zeus, sentendo gli umani lamentarsi, si incuriosì e chiese cosa stesse succedendo. Quando seppe che tutto stava accadendo perché il sole non scaldava più la terra, andò da Apollo per chiedere spiegazioni. Lo trovò ancora litigare con Selene mentre ormai il sole era quasi spento. Zeus si infuriò con entrambi e, visto che non si volevano calmare e no gli davano ascolto scagliò contro di loro un fulmine dicendo:- Ora basta!!! Vi dirò io … e per sempre. Visto che entrambi volete il potere della luce sarete accontentati. Tu Apollo alimenterai la fiamma del sole di giorno. Tu Selene, invece, lavorerai di notte e sarai la luna. Per punizione, per tutto il tempo vi vedrete solo attraverso il cielo e vi incontrerete solo una volta l’anno. Così avvenne…così è ancora. Da allora fratello Sole e sorella Luna possono ritrovarsi il giorno dell’eclissi.

Notti senza luna

 

Quando ancora non esisteva tempo, il Creatore abitava in cielo insieme a degli enormi angeli di pura luce. Tutti vivevano in armonia e serenità. Un giorno un gruppo di angeli disubbidì agli ordini del Creatore, essi divennero arroganti e cattivi. Il Creatore era tanto buono e cercò di farli ragionare. Invece loro, che volevano assumere il potere, ordirono un piano: incendiare la nuvola sulla quale viveva il Creatore, con l’aiuto del malvagio drago sputa fuoco Ignitus. Il piano si svolse di notte, quando il Creatore dormiva serenamente. Andò tutto alla perfezione, infatti, all’improvviso il Creatore si svegliò e vide fuoco dappertutto. Giunse in suo aiuto Grendel, un drago buono dell’acqua, che spense il fuoco e riportò Ignitus nel Mondo dei Draghi. Il buon Creatore ringraziò Grendel e perdonò gli angeli dicendo loro di non farlo più. Gli angeli, al contrario organizzarono un altro attacco. A quel punto il Creatore non ne poté più. Scatenò la sua ira e punì gli angeli cacciandoli sulla terra che per loro era inospitale e piccola poiché loro erano enormi. La terra era un posto ancora disabitato, non c’erano alberi, piante, animali, solo roccia e fango. Gli angeli vagarono a lungo, pian piano persero la loro luminosità sporcandosi sempre più di fango e diventando pietra, finché si bloccarono in enormi ammassi di terra. Il Creatore decise che il nome angelo era troppo dolce e delicato per degli ammassi di terra allora li chiamò “montagne” .

Gli Angeli disubbidienti

Nella savana vivevano animali chiamate Giraffe. Avevano gambe tozze, erano grosse e il collo era così corto che la testa sembrava attaccata al corpo. Le erbette che crescevano sul suolo non erano sufficienti per saziare le basse giraffe e ormai il freddo vento d’inverno, che soffiava sempre più forte, impediva alle piccole piantine di crescere. Capitava raramente, nel gelido inverno, che sui cespugli crescessero quei deliziosi frutti che le giraffe amavano tanto, vi erano però bacche deliziose che però   non arrivavano a prendere perché molto spesso si trovavano sugli alti rami degli alberi. Presto le giraffe dovettero lasciare la savana per trovare del cibo. Giunte nel bosco si riposarono sotto un albero e si misero a gustare i deliziosi frutti raccolti, durante il viaggio, nei cespugli pieni di quelle prelibatezze. Purtroppo non riuscirono a sfamarsi tutte e per questo una di esse decise di allontanarsi dal gruppo in cerca di altro cibo. Raffa, la piccola giraffa, durante la notte, mentre tutte le altre giraffe dormivano, scappò e si incamminò nel bosco per ritornare nella savana dove, inoltre, erano rimaste le sue più care amiche di cui già sentiva la mancanza. Purtroppo la notte era profonda e tutt’intorno regnava il buio più nero così presto perse l’orientamento e non riuscì più a ritrovare la strada del ritorno. La giraffa, non sapendo cosa fare, cominciò a camminare senza una meta, senza sapere dove stesse andando e intanto sperava che qualcuno si accorgesse della sua mancanza e che andasse a cercarla per poi ricondurla sana e salva a casa. Raffa era sfinita per aver camminato senza tregua e affamata perché non trovava nulla da mangiare. Ad un tratto si scatenò un temporale, le corte gambe non le permettevano di correre velocemente e il corto collo di scorgere qualche rifugio sicuro dove trovare riparo. Inaspettatamente si trovò davanti ad una piccola capanna di foglie e rami, vi entrò e stremata si addormentò. Rimase lì un paio di giorni, fin quando non udì strane voci che provenivano dall’esterno. Erano due guardiani di uno Zoo che, avendola vista, decisero di catturarla, chiuderla in una gabbia e portala allo zoo. Raffa, che aveva ascoltato le loro conversazione, fece resistenza e non volle uscire dalla capanna e mentre i due la tiravano dalla testa lei puntava i piedi. Tiravano, tiravano e tiravano mentre Raffa opponeva sempre più resistenza rimanendo immobile…..eppure la sua testa si muoveva e usciva sempre di più finché fu fuori. Gli uomini non capivano come mai non vedevano il suo corpo.  Si fermarono e guardarono incuriositi. Appena la videro meglio si meravigliarono di quanto fosse accaduto, videro che il suo collo era diventato lunghissimo e le sue gambe più alte così, impauriti, fuggirono. Raffa non si rese subito conto del perché quei due uomini fossero scappati a gambe levate ma quando uscì fuori completamente si accorse della sua trasformazione… era diventata snella e talmente alta che le sembrava di poter toccare quasi il cielo. Incominciò, allora felice, a correre verso la sua savana che, grazie al suo lungo collo, vedeva da lontano. Ritrovò i suoi amici e con essi visse una nuova vita. Presto si moltiplicarono, tutte le giraffine che nascevano erano simili a lei e divennero più forti e robuste poiché il lungo collo permetteva loro di nutrirsi meglio e più abbondantemente, potendo raggiungere anche i rami più alti degli alberi.

Le giraffe

In quelle giornate di caldo afoso, quando l’unico divertimento dei grandi predatori era cacciare le loro prede, le prede erano costrette a correre per non farsi catturare dagli altri animali che le inseguivano. Le zebre, che solitamente sono bianche con le strisce nere, avevano il corpo completamente bianco. Mamma zebra, costretta a fuggire con i suoi tre piccolini, si ritrovò presto nel villaggio dei leoni. Le grosse e affilate zanne di un leone, graffiarono in più parti mamma zebra che, ormai, faticava a muoversi mentre i suoi piccoli venivano portati via. Fino a tarda nottata, i leoni continuavano a ruggire davanti a un fuoco finché il sonno non li colpì e, uno dopo l’altro, cadevano a terra addormentati. Nella notte, la candida e bellissima pelle bianca di mamma zebra era facile da vedere, così l’animale entrò, senza farsi vedere, in una capanna situata poco lontano dal branco dei leoni. Lì, la zebra trovò un secchio di vernice nera e, mettendosi in bocca il pennello, cominciò a verniciarsi per confondersi col buio. Velocemente mamma zebra corse a liberare i suoi piccoli che piangevano disperati fra le zampe di un leone addormentato che li stringeva così forte come per strangolarli. Appena le piccole zebre toccarono il suolo, il grande leone che dormiva, si svegliò e, nel tentativo di riprenderli, li azzannò fino a quando il sonno non lo assalì nuovamente facendolo crollare. Mamma zebra e i suoi piccini uscirono dal villaggio dei leoni mentre già il sole si alzava in cielo. Arrivati dinanzi ad un ruscello, i piccoli si fermarono a giocare mentre mamma zebra si levava la vernice che ormai non sembrava voler andare via. Provò e riprovò fino a quando la vernice non se ne andò lasciando però delle strisce nere lì dove si trovavano le ferite. Il grande re della savana Ras, che aveva osservato tutto dalla sua nuvola in cielo, decise che da quel giorno ogni zebra avrebbe avuto quelle magnifiche strisce in ricordo del bellissimo gesto di mamma zebra che ora si sentiva diversa dalle altre…… perché non c’è cosa più bella di una mamma disposta anche a donare la vita per i propri figli.

Il meraviglioso gesto di mamma zebra

Dalla Prefazione

Le poesie di questa raccolta sono state composte da bambini di dieci anni frequentanti la classe V sezione A della scuola primaria di S.Antonino appartenente all’ I.C. “Foscolo” di Barcellona P.G. Messina.

L’opera raccoglie 55 testi trattanti argomenti toccanti e profondi che nascono dall’anima dei piccoli autori, da questo appunto il titolo. Argomenti che hanno approfondito a scuola attraverso vissuti e ricerche e che li hanno resi sensibili alle problematiche della vita quotidiana. Le tematiche spaziano da argomenti relativi alla storia più recente (persecuzione degli Ebrei ad opera dei Nazisti, sfruttamento minorile, guerre tra paesi dell’Est, e quindi odio fra simili, attacchi terroristici da parte dell’Isis, bullismo, violenza sulle donne, il problema dell’immigrazione), alla quasi scomparsa di valori fondamentali che regolano la vita dell’individuo quali l’amore, la tolleranza, l’amicizia, il coraggio, la fiducia. Dai versi dei bambini si eleva un grido di condanna per le ingiustizie commesse, di dolore e di rabbia per le sofferenze causate a vittime innocenti, ora il desiderio e un anelito di pace, di amore, di umanità. E’ la storia varia e multiforme dell’umanità vista dagli occhi di piccoli ma attenti osservatori, giudici vigili e sensibili dei comportamenti degli esseri umani.

L’opera nasce dal pensiero e dall’animo di bambini che nell’innocenza della loro tenera età mostrano in nuce la maturità di grandi, sensibili ai casi della vita e ai fatti propri di individui testimoni del malessere così come dell’armonia dell’esistenza.

Insegnante

Lidia Lombardo

SFRUTTAMENTO MINORILE

 

Un vento che porta via tutta la felicità per sempre,

tutta l'infanzia ridotta in niente.

Mani tremanti

e il viso rigato dai pianti,

urla soffocate e la giovinezza sperduta

per una vita venduta,

occhi di primavera senza speranza,

pieni di tristezza e malinconia.

Se l'anima di un bambino senza allegria

non è la fine del mondo, ditemi voi cosa sia.

 

Alessandra Mirabile

ROSSO VIOLENZA

 

 Ti picchiano, maltrattano,

feriscono il tuo cuore.

Tu taci con dolore

fingendo che sia amore.

Tu pensi dentro te

che tutto passerà,

ma in fondo, in fondo sai

che nulla cambierà.

Ricorda che l’amore

non chiede mai dolore,

non chiede sofferenza.

L’amore è solo amore

rosso passione, non rosso violenza.

 

 

Rita Chiara Scarpaci

NESSUN CONFINE

 

L’ amicizia non si può vedere né toccare

ma nel cuore si può sentire.

L’ amicizia sincera non ha scadenza...è per sempre.

L’ amicizia non ha confini.

 

Roberto Macrì

SE IL MONDO GIRASSE AL CONTRARIO

 

 

Se il mondo girasse al contrario,

forse anche la gente si comporterebbe diversamente.

La guerra diventerebbe pace,

la violenza diventerebbe delicatezza,

l’odio diventerebbe amore,

la solitudine diventerebbe compagnia…

I cuori spezzati si risanerebbero,

le lacrime non sgorgherebbero più

dagli occhi delle persone innocenti,

le cicatrici dei soldati valorosi si rimarginerebbero,

e tutte le loro ferite sparirebbero.

Se il mondo girasse al contrario,

noi non sapremmo neanche cos’è la guerra.

 

Eleonora Baglione

LONTANO

 

 

 

L’ amore  è un sentimento

che cresce in un momento,

e ti senti contento.

Lo puoi sentire ma non lo puoi vedere,

arriva all’ improvviso

e mette un sorriso.

Ti porta lontano

con una mano e

infonde nel cuore

tanto calore.

 

Samuele Italiano

GLI IMMIGRATI

 

Scappo dal mio Paese su quel gommone

sperando di arrivare vivo in un posto migliore

mentre il sole si nasconde nel mare

e pian piano si fa sera…

Nella notte buia c’è chi parla,

chi dorme, chi prega, spunta l’alba,

la notte va via

io sono poi contento

ma temo ancora per la vita mia…

Ecco il disastro…

Poi arriva una grande barca

che ci aiuta portandoci via.

 

 

Alessandro Isgrò

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